TURCHIA: ERDOGAN, L’AMBIZIONE CHE UCCIDE (Fulvio Scaglione)

4-3La strage di Capodanno nella discoteca di Istanbul, arrivata pochi giorni dopo l’assassinio dell’ambasciatore russo ad Ankara, dimostra, con la brutale efficacia del sangue, che certe partite è assai più facile aprirle che chiuderle. E Recep Erdogan, giunto all’apice della parabola politica, leader di una Turchia che peraltro aveva tratto enormi benefici di suoi primi dieci anni di governo, di partite ne aveva aperte molte.

Oltre che nell’eterno braccio di ferro con i curdi, si era impegnato in uno scontro con Israele, nel testa e testa con l’Arabia Saudita per il predominio nel Medio Oriente sunnita, nella liquidazione dell’ex amico siriano Bashar al-Assad. Decisione, quest’ultima, a sua volta gravida di conseguenze: l’impegno militare, l’urto con la Russia (fino a quel momento partner privilegiato e fruttuoso per gli scambi economici), la scomoda alleanza di fatto con i jihadisti, da Erdogan coccolati e riforniti. Per non parlare, infine, del fronte interno, di quella Turchia di cui Erdogan non voleva più esser solo la guida ma il padrone, forse il sovrano.
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