Lettera (Enrico e le Commissioni Missionaria e Migrantes)

Carissime, Carissimi,

                                   sembra di essere tornati ai tempi degli untori di manzoniana memoria e credo che Maurizio Ambrosini, sociologo delle migrazioni, abbia analizzato molto bene, dalle pagine del quotidiano Avvenire, come si stia diffondendo, insieme al coronavirus, anche un altro virus, quello di un razzismo che, abbandonato ogni supporto pseudo scientifico, cerca di volta in volta argomenti apparentemente razionali per i propri capri espiatori.
«Le notizie sulla diffusione del coronavirus stanno scatenando un inquietante effetto collaterale, in Italia e in altri Paesi: la ripulsa nei confronti di persone di origine cinese e a volte di altri asiatici, la sinofobia. La paura che gli stranieri (specie se poveri) diffondano malattie è antica e radicata. Ne abbiamo avuto recenti prove nel caso degli sbarchi di persone di origine africana, da alcuni additate come portatrici di Ebola, da molti altri tenuti alla lontana per presunti “rischi sanitari”. Ma non c’è stata notizia di vere o presunte epidemie che non abbia sollevato la richiesta di chiusura delle frontiere verso rifugiati e immigrati dal Sud del mondo».
Tuttavia «nell’emergenza attuale l’ondata sinofoba è però ancora più incresciosa, perché investe non soltanto le persone in arrivo dal gigante asiatico, ma anche cittadini cinesi e naturalizzati residenti qui da anni, attività commerciali, ristoranti, bambini che frequentano le scuole italiane, piccoli calciatori: tutte persone e famiglie che non hanno nessun rapporto con la città di Wuhan». E prosegue «che non si tratti di un principio di precauzione un po’ dilatato è dimostrato dal fatto che, nel recente passato, l’esplosione di focolai di malattie infettive in alcune città e regioni italiane – a cominciare dalla Lombardia – non ha provocato particolari allarmismi, né cordoni sanitari “spontanei” intorno agli abitanti o alle persone originarie delle zone interessate. Queste reazioni scomposte rivelano dunque alcuni aspetti preoccupanti dell’attuale tessuto sociale».    Continua nell’ ALLEGATO

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