SALVARE QUI QUEL CHE È PERSO A KABUL (Marino Sinibaldi)

2a. Salvare qui...Ma l’Occidente è un impero o è una civiltà?
Il dilemma cruciale sintetizzato da Ezio Mauro illumina la rete di equivoci, ipocrisie e contraddizioni emerse nelle reazioni alla caduta di Kabul. Chi ha difeso le ragioni dell’intervento militare prova ora a esibire i minimi ed evidentemente assai fragili passi avanti dal punto di vista delle libertà e dei diritti umani, nel tentativo un po’ penoso di temperare il clamoroso fallimento strategico. Ma ha anche buon gioco nell’irridere la nostalgia per quei pochi, fragili, preziosi risultati che adesso sembra colpire chi quell’intervento ha invece sempre radicalmente criticato. Non si tratta di ragioni equivalenti: a venti anni di distanza appaiono inoppugnabili le obiezioni di chi fin dall’inizio aveva previsto o paventato esattamente l’esito che abbiamo sotto gli occhi. (E per essere ancora più chiari o didascalici: bisognava leggere di più Tiziano Terzani, ascoltare di più Gino Strada per capire, e magari cambiare). Ma solo un senso di futile rivincita o di egoismo ideologico può esentare questa parte dall’affrontare la contraddizione evidente di non poter accettare la fine di quello che non si voleva iniziasse. Magari c’è qualche tratto di generosità nel riconoscere che il Male (l’intervento) può generare un piccolo Bene (il tesoretto di nuovi diritti e libertà) che a questo punto varrebbe la pena di difendere a tutti i costi. Ma la contraddizione, o almeno il paradosso, rimane palese.          Continua nell’ ALLEGATO

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IN AFGHANISTAN IL FALLIMENTO MASCHERATO DELL’OCCIDENTE (Alberto Negri)

3a. In Afghanistan il fallimentoPer Stati Uniti e Nato bisognava e bisogna esportare democrazia. Ma i raid aerei non aiutano i civili – migliaia le vittime e più di 5 milioni di profughi – ma solo il mercato delle armi. Domanda chiave, «Quali altre guerre sbagliate, e che non si possono vincere, ci aspettano, dopo gli inutili bagni di sangue di Afghanistan e Iraq?».
«A Kabul c’è stato un fallimento epocale finito in maniera umiliante», titolava il New York Times, quotidiano che ha appoggiato Biden nella campagna elettorale contro Trump. Eppure mai come adesso è vera la frase del grande musicista Frank Zappa: «La politica in Usa è la sezione intrattenimento dell’apparato militar-industriale». Biden, come in una caricatura hollywoodiana, continuava a sostenere in tv che il potente esercito afghano avrebbe respinto i talebani che stavano già alla periferia di Kabul. Ma il ruolo presidenziale è proprio questo: raccontare bugie, anche insostenibili, e contare gli utili, prima ancora dei morti. Anche le dichiarazioni del segretario di stato Blinken – “abbiamo raggiunto gli obiettivi” – appaiono meno ridicole di quel che sono se viste in questa ottica.           Continua nell’ ALLEGATO

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TALEBANI, LE DUE ANIME DEL MOVIMENTO (Emanuele Giordana)

4a. TalebaniUn racconto lungo vent’anni che inizia con l’ascesa degli studenti coranici. Sono cambiati? Sono omogenei? Come pensano di gestire le loro relazioni internazionali?

Nel V anno dalla proclamazione dell’Emirato islamico dell’Afghanistan, un fokker delle Nazioni Unite ci portò a Jalalabad, uno dei pochi ingressi nel Paese che mullah Omar governava da Kandahar, la città più tradizionalista del Paese dove Omar era nato e aveva fondato il movimento degli studenti coranici. Era l’anno 2000, ventun anni fa. Le formalità doganali venivano espletate da due ragazzi col kalashnikov che non sapevano né leggere né scrivere sulla pista di un malconcio aeroporto assolato dove stazionava un Dc-10 dell’Ariana, la vecchia compagnia di bandiera. Aveva i finestrini oscurati ma, sbirciando tra gli scatoloni che ne venivano scaricati, notammo i brand occidentali di radio o televisori che venivano dal Golfo. Allora, quando attraversammo un Paese in sfacelo, senza più strade e dove si erano rubati tutti i fili di rame dell’elettricità, solo Pakistan, EAU e Arabia saudita avevano riconosciuto l’emirato scalcinato che a Kandahar contava su un solo telefono pubblico e in cui le strade erano pattugliate dai pickup, capimmo qual era la chiave della rapida avanzata talebana dal Pakistan verso Jalalabad e poi sempre più all’interno del Paese.          Continua nell’ ALLEGATO

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NOTIZIE DALL’UFFICIO MIGRANTES (La Redazione)

Migrantes ricorda la tragedia di Marcinelle

L’8 agosto 1956 a Marcinelle, in Belgio, un incendio sviluppatosi all’interno della miniera del “Bois du Cazier” uccise 262 minatori di ben dodici nazionalità diverse, tra cui 136 italiani. La miniera di Marcinelle è comunemente riconosciuta come la tragedia legata all’emigrazione italiana.
In realtà non fu né la prima né l’ultima, ma è oggi simbolo indiscusso della memoria collettiva italiana per tutti i connazionali morti sul lavoro. Nel 2001, l’allora presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, ha istituito la Giornata Nazionale del Sacrificio del Lavoro Italiano nel Mondo che si celebra l’8 agosto per ricordare e onorare i tanti italiani che hanno perso la vita lavorando fuori dei confini nazionali.
Il 65° anniversario, che ricorre quest’anno, diventa – spiega la Fondazione Migrantes in una nota – l’occasione per rivolgere lo sguardo a una storia che non va dimenticata. Il ricordo e la memoria devono fare da sprone per il costante miglioramento del presente.
Come evidenziato dal Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes, la mobilità italiana continua a crescere. Negli ultimi 15 anni il dato si attesta a +76%. Tra chi parte oggi, ben il 40% ha tra i 18 e i 34 anni. Si tratta di giovani alla ricerca di una realizzazione attraverso un’occupazione giusta e strutturale, la cui mancanza è un problema endemico della realtà giovanile italiana.           Continua nell’ ALLEGATO

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NOTIZIE FLASH DAL MONDO

a cura del Gruppo di Animazione Missionaria di SCANNABUE

MULTILATERALISMO E LOTTA ALLA FAME

6a. MultilateralismoIl 29 giugno scorso si è tenuto a Matera l’incontro dei ministri degli Esteri del G20. In attesa del vertice dei capi di Stato e di Governo, previsto per il prossimo ottobre a Roma.
La prima sessione ha posto l’accento sul metodo per far fronte alle grandi sfide, come la pandemia, in particolare per le vaccinazioni troppo lente in Africa e in India e sul rafforzamento della cooperazione per la salute globale, lo sviluppo sostenibile e il commercio internazionale.
I partecipanti rappresentano il 60% della popolazione del mondo, l’80% della ricchezza e il 75% del commercio: Stati Uniti, Cina, Russia, Turchia, India, Paesi europei e arabi del Golfo.
Il G20 è un quadro solido in cui discutere i temi sensibili anche in maniera confidenziale, andando oltre le questioni finanziarie.
La seconda sessione del vertice è stata dedicata all’Africa, con focus specifico su sviluppo sostenibile, debito, cibo e agricoltura.          Continua nell’ ALLEGATO

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Il terrorismo è la nuova forma della guerra,
è il modo di fare la guerra degli ultimi sessant’anni:
contro le popolazioni, prima ancora che tra eserciti o combattenti.
La guerra che si può fare con migliaia di tonnellate di bombe o con l’embargo,
con lo strangolamento economico o con i kamikaze sugli aerei o sugli autobus.
La guerra che genera guerra, un terrorismo contro l’altro,
tanto a pagare saranno poi civili inermi.
Spero solo che si rafforzi la convinzione,
in coloro che decideranno di leggere queste pagine,
che le guerre, tutte le guerre sono un orrore.
E che non ci si può voltare dall’altra parte,
per non vedere le facce di quanti soffrono in silenzio.
 
Gino STRADA – Fondatore di Emergency – 21.04.1948 – 13.08.2021

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Enrico con le Commissioni Missionaria e Migrantes

Carissime, Carissimi,

                            com’era immaginabile, al termine di queste strane e entusiasmanti Olimpiadi, nelle quali abbiamo visto il successo in tante discipline propiziato  di tanti nostri atleti non nati in Italia o figli di genitori non nati in Italia, è prepotentemente tornato alla ribalta il dibattito intorno allo ius soli/ius culturae, cioè alla concessione della cittadinanza italiana ai bambini nati in Italia, se almeno uno dei due genitori si trova legalmente in Italia da almeno 5 anni o se hanno superato almeno un ciclo scolastico.
E, com’era altrettanto immaginabile, passato velocemente l’entusiasmo sportivo, siamo ripiombati nelle discussioni e nelle polemiche di sempre.
Sappiamo benissimo che l’argomento non si esaurisce con un articolo, tuttavia mi sembra interessante il botta e risposta comparso due giorni fa sul quotidiano AVVENIRE  tra un lettore e il suo direttore Marco Tarquinio e che qui riportiamo integralmente.          Continua nell ALLEGATO

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ATTENTI A CERCARE UN DIO A NOSTRO USO E CONSUMO (Angelus, 01-08-2021)

1a. Angelus-Papa-1-agostoLa scena iniziale del Vangelo, nella Liturgia odierna (cfr Gv 6,24-35), ci presenta alcune barche in movimento verso Cafarnao: la folla sta andando a cercare Gesù. Potremmo pensare che sia una cosa molto buona, eppure il Vangelo ci insegna che non basta cercare Dio, bisogna anche chiedersi il motivo per cui lo si cerca. Infatti, Gesù afferma: «Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati» (v. 26). La gente, infatti, aveva assistito al prodigio della moltiplicazione dei pani, ma non aveva colto il significato di quel gesto: si era fermata al miracolo esteriore, si era fermata al pane materiale: soltanto lì, senza andare oltre, al significato di questo.

Ecco allora una prima domanda che possiamo farci tutti noi: perché cerchiamo il Signore? Perché cerco io il Signore? Quali sono le motivazioni della mia fede, della nostra fede? Abbiamo bisogno di discernere questo, perché tra le tante tentazioni, che noi abbiamo nella vita, tra le tante tentazioni ce n’è una che potremmo chiamare tentazione idolatrica.         Continua nell’ ALLEGATO

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GESÙ, PANE DEL CIELO, CHE OGNI GIORNO AMA SULLA TERRA (Angelus, 08-08-2021)

2a. AngelusNel Vangelo della Liturgia odierna, Gesù continua a predicare alla gente che ha visto il prodigio della moltiplicazione dei pani. E invita quelle persone a fare un salto di qualità: dopo aver rievocato la manna, con cui Dio aveva sfamato i padri nel lungo cammino attraverso il deserto, ora applica il simbolo del pane a sé stesso. Dice chiaramente: «Io sono il pane della vita» (Gv 6,48).

Che cosa significa pane della vita? Per vivere c’è bisogno di pane. Chi ha fame non chiede cibi raffinati e costosi, chiede pane. Chi è senza lavoro non chiede stipendi enormi, ma il “pane” di un impiego. Gesù si rivela come il pane, cioè l’essenziale, il necessario per la vita di ogni giorno, senza di Lui la cosa non funziona. Non un pane tra tanti altri, ma il pane della vita.          Continua nell’ ALLEGATO

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IL REGNO DELLA GIADA: MA TRA LA LEGGENDA E LE PIETRE PREZIOSE CONTINUA L’ORRORE GOLPISTA (tratto da “Repubblica”)

Myanmar

3a. Myanmar - giadaIl più grande giacimento al mondo è a Hpakant, nel Nord. Un settore opaco, corrotto e redditizio, controllato dai militari. La denuncia l’Ong britannica Global witness. Migliaia di vittime senza nome sotto quei sassi
Nel Myanmar (la ex Birmania) la giada è un tesoro che fa gola a molti, si legge in un articolo pubblicato da RemoContro, il blog aperto coordinato da Ennio Remondino, reporter di guerra. Il più grande giacimento al mondo si trova a Hpakant, nella Birmania settentrionale. Quello della giada è però un settore opaco, corrotto e redditizio, controllato sin dagli anni novanta dai militari, denuncia l’Ong britannica Global witness. «La scatola nera delle Tatmadaw», le forze armate birmane. E migliaia di vittime senza nome sotto quei sas.          Continua nell’ ALLEGATO

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