INCONTRARE GESÙ PER ESSERE AL SERVIZIO DEI FRATELLI (Papa Francesco – Angelus 06.08.17)

papa-francescoIn questa domenica, la liturgia celebra la festa della Trasfigurazione del Signore. L’odierna pagina evangelica racconta che gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni furono testimoni di questo avvenimento straordinario.

Carissimi Fratelli e Sorelle,

Gesù li prese con sé «e li condusse in disparte, su un alto monte» (Mt 17,1) e, mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto, brillando come il sole, e le sue vesti divennero candide come la luce. Comparvero allora Mosè ed Elia, ed entrarono in dialogo con Lui. A questo punto, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè, una per Elia» (v. 4). Non aveva ancora terminato di parlare, quando una nube luminosa li avvolse.
L’evento della Trasfigurazione del Signore ci offre un messaggio di speranza – così saremo noi, con Lui –: ci invita ad incontrare Gesù, per essere al servizio dei fratelli                                                                    L’ Angelus continua nell’ ALLEGATO

LA GARANZIA CONTRO IL NAUFRAGIO È LA FEDE IN CRISTO E NELLA SUA PAROLA (Papa Francesco – Angelus 13.08.17)

Oggi la pagina del Vangelo (Mt 14,22-33) descrive l’episodio di Gesù che, dopo aver pregato tutta la notte sulla riva del lago di Galilea, si dirige verso la barca dei suoi discepoli, camminando sulle acque.

Carissimi Fratelli e Sorelle,

 La barca si trova in mezzo al lago, bloccata da un forte vento contrario. Quando vedono Gesù venire camminando sulle acque, i discepoli lo scambiano per un fantasma e si impauriscono. Ma Lui li rassicura: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!» (v. 27). Pietro, col suo tipico impeto, gli dice: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque»; e Gesù lo chiama «Vieni!» (vv. 28-29). Pietro scende dalla barca e si mette a camminare sull’acqua verso Gesù; ma a causa del vento si agita e comincia ad affondare. Allora grida: «Signore, salvami!», e Gesù gli tende la mano e lo afferra (vv. 30-31).                                                                                                                                               L’ Angelus continua nell’ ALLEGATO

 

STRAGE DI BARCELLONA, DOVE GERMINA QUESTO MALE (Fulvio Scaglione)

29-1Siamo di fronte, ormai, a un terrorismo  compiutamente europeo, nel senso che nasce qui e ha caratteristiche che rispondono alla situazione dei nostri Paesi. Che agisca nel nome dell’islamismo non cambia nulla: colpisce qui perché qui sta il suo interesse a colpire. Non perché voglia aiutare la causa di qualcuno che combatte in Medio Oriente o   in Nord Africa.

Se vogliamo farci un’idea più chiara di quanto è successo a Barcellona, e insieme di quanto negli ultimi anni succede nelle grandi città d’Europa (Parigi, Nizza, Berlino, Londra), dobbiamo dimenticare le rivendicazioni di Daesh. Le residue milizie dal Califfato sono schiacciate in pochi angoli di Siria e Iraq e hanno ben altro a cui pensare.
Il terrorismo che ci colpisce, dunque, non è più importato, forse non è più nemmeno ispirato dall’esterno. Siamo di fronte, ormai, a un terrorismo compiutamente europeo, nel senso che nasce qui e ha caratteristiche che rispondono alla situazione dei nostri Paesi.                                                                                                             L’articolo sui  fatti di Barcellona continua nell’ ALLEGATO

MARCINELLE E I MINATORI DEL MARE (Mauro Armanino*)

29-2Era l’8 agosto del 1956, l’incendio nella miniera di carbone Bois du Cazier di Marcinelle, in Belgio, uccise 262 minatori, quasi tutti provenienti dall’Italia. Sessantuno anni dopo, malgrado l’abietta amnesia che ha colpito gli italiani, non possiamo che riconoscere che avremmo dovuto saperlo che quei morti, con il dolore incancellabile delle loro famiglie, sarebbero tornati. Parlano lingue diverse e spesso hanno la pelle di un altro colore, i “migranti” economici delle gallerie del mare dei nostri giorni, ma hanno le stesse speranze e lo stesso sguardo

 Sono minatori come quelli di Marcinelle bruciati da 61 anni. Anche loro stanno scavando a modo loro il mare. Scavano per anni e infine, l’ultimo tratto da scavare, ancora più pericoloso. Sono i migranti portati in salvo dalle gallerie scavate nel Mediterraneo. Morirono in 262 per buona parte connazionali. Bruciati come fossero essi stessi diventati un carbone simile all’olocausto. Famiglie annientate dal dolore e racconti incompiuti di una migrazione economica che prevedeva braccia in cambio di carbone a prezzo ridotto. Così era siglato l’accordo italo-belga dell’epoca. Dovevamo saperlo, invece di distrarci da anni di amnesia mercantile. Avremmo potuto prevederlo che prima o poi quei morti sarebbero tornati. Dal mare, stavolta.                                                                                                                                             L‘articolo continua nell’ ALLEGATO

 

APPELLO DI P. ZANOTELLI AI GIORNALISTI: «ROMPIAMO IL SILENZIO SULL’AFRICA» (Alex Zanotelli*)

29-3Rilanciamo l’appello che Padre Alex ZANOTELLI, direttore   della rivista Mosaico di Pace, rivolge ai giorna listi italiani. «Non vi chiedo atti eroici, ma solo di tentare di far passare ogni giorno qualche notizia per aiutare il popolo italiano a capire i drammi che tanti popoli stanno vivendo».

Scusatemi se mi rivolgo a voi in questa torrida estate, ma è la crescente sofferenza dei più poveri ed emarginati che mi spinge a farlo. Per questo come missionario uso la penna (anch’io appartengo alla vostra categoria) per far sentire il loro grido, un grido che trova sempre meno spazio nei mass-media italiani.                                         L’appello continua nell’ ALLEGATO

BANGLADESH PARTITA INCERTA (Giorgio Licini*)

29-4Minaccia fondamentalista, precarietà lavorativa, esodo giovanile… Il Bangladesh si trova oggi ad affrontare alcune sfide cruciali per il suo futuro. Compresa la possibilità di pluralismo religioso.

Un cancello con un grosso lucchetto impedisce l’accesso all’Holey Artisan Bakery nel quartiere diplomatico di Gulshan a Dacca. Una serrata trattativa con il personale di guardia, accompagnata da qualche telefonata a chissà chi, ci permette comunque di entrare dopo una mezzoretta, a condizione di non fare foto. Troviamo operai al lavoro per trasformare la struttura – ci dicono – in una residenza privata. Non sarà più quindi un ristorante tranquillo e un poco defilato il piccolo edificio sul laghetto nel quale diplomatici e imprenditori stranieri si davano appuntamento per cena, dopo una giornata di lavoro e di stress nel caos e nel traffico della capitale del Bangladesh. Il primo luglio di un anno fa, ventidue vittime civili – tra cui nove italiani – ed alcuni poliziotti intervenuti sul posto furono trucidati da un gruppo di studenti islamisti, in un attentato maturato negli ambienti universitari del Paese.                                                                                                                      L’articolo sul Bangladesh prosegue nell’ ALLEGATO

LA DISCESA DELCONGO (Anna Pozzi)

29-5Si fa sempre più drammatica la situazione in  Repubblica Democratica del Congo, dove si  moltiplicano le violenze e i focolai di guerra. «Una     situazione miserabile», denunciano i vescovi, che puntano il dito contro i politici che stanno facendo di tutto per «ipotecare la tenuta di elezioni libere e democratiche»

Una cinquantina di fosse comuni, quasi 3.500 morti, una ventina di villaggi completamente distrutti. Non solo. Sessanta parrocchie profanate e distrutte, 31 centri sanitari cattolici saccheggiati e 141 scuole diocesane assaltate e chiuse. Per non parlare di un numero enorme di sfollati interni – più di un milione – e di trentamila profughi che si sono riversati in Angola.
È la tragica contabilità – e solo per quanto riguarda le strutture della Chiesa – di quello che da nove mesi sta avvenendo nel Grande Kasai, regione diamantifera della Repubblica Democratica del Congo, dove si intrecciano questioni locali e tradizionali, scontri con l’esercito nazionale e ovviamente interessi economici.  L’articolo sul Congo prosegue nell’ ALLEGATO

VENEZUELA, IL DRAMMATICO BIVIO DELL’ALTRA AMERICA (Lucia Capuzzi)

29-6Benché datato quasi due mesi fa, riportiamo volentieri l’analisi di Lucia Capuzzi, inviata del quotidiano Avvenire in America Latina, perché mantiene inalterata la lucidità dell’analisi, che il succedersi dei fatti non ha potuto che confermare.

È, forse, il più drammatico banco di prova per la tenuta della democrazia in America Latina. Nelle piazze venezuelane – in fermento dal 4 aprile, con un bilancio di oltre ottanta vittime – si consuma l’ultimo atto di un conflitto di lungo corso. Le cui radici affondano nella cosiddetta “prima Repubblica”, quella instaurata alla fine della dittatura di Marco Pérez Jiménez, nel 1958. Un sistema senza dubbio stabile quanto disfunzionale, poiché basato sul patto tra i principali partiti nazionali. Oltre al potere e relative reti clientelari, essi si spartivano la principale risorsa del Paese: la rendita petrolifera.                                                                               L’articolo sul Venezuela prosegue nell’ ALLEGATO

 

YEMEN, BOMBE «ITALIANE» ECCO LE NUOVE PROVE (Nello Scavo)

Armi di produzione italiane usate in Yemen. Da anni la Rete italiana per il disarmo denuncia l’esportazione verso la coalizione saudita.

 29-7L’ultima è la Bahri Jedda. Il cargo saudita, salpato da Cagliari la settimana scorsa, secondo i radar sta consegnando in queste ore il nuovo carico: 2.000 bombe per i caccia della coalizione che martella lo Yemen. Il governo italiano non ha mai ufficializzato i nomi dei Paesi destinatari, ma un frammento recuperato sul campo conferma il contenuto di due anni di inchieste giornalistiche partite da “Avvenire”. La sigla ‘A4447’, incisa su una scheggia indica che l’ordigno proviene dalla Rwm Italia, che ha sede legale a Ghedi (Brescia) e stabilimenti a Domusnovas, in Sardegna, ma che fa capo al gruppo tedesco Rheinmetall.
Secondo l’ong yemenita Mwatana, il numero di matricola (nella foto), trasmesso all’ufficio Ansa di Beirut, è stato rinvenuto a Der al Hajari, nella regione nord-occidentale di Hodeida.               L’articolo sulle bombe “italiane” prosegue nell’ ALLEGATO

ANCHE LO SPORT SA PRENDERE POSIZIONE

①      Una medaglia per i migranti

29-9Una medaglia d’oro dedicata al dramma dell’immigrazione e alla speranza di tante famiglie che ogni giorno scappano dalla guerra, dalla fame, dalla persecuzione. È ciò che hanno fatto Manila Flamini e Giorgio  Minisini, i due giovani che, con una impresa storica, si sono piazzati primi (davanti a  Russia e Stati Uniti) nel nuoto sincronizzato in coppia ai mondiali di Budapest.

Non solo lo hanno fatto su un pezzo musicale di due minuti e 19 secondi dal titolo “A scream from Lampedusa” (L’urlo di Lampedusa). Insomma una dedica premeditata, evidentemente. Una prestazione che è stata fatta con consapevole scelta, con una forza comunicativa che non poteva non sapere che il mondiale si teneva a Budapest, nella capitale del paese di Orban che si oppone strenuamente all’ingresso di rifugiati e minaccia muri e azioni di forza.
Ecco un’Italia della quale fa piacere essere cittadini. L’Italia che parla di invasione, che gonfia i numeri degli arrivi, che taccia i migranti di terrorismo, che dice che portano malattie e germi, sappia che c’è un paese nobile, sordo alle loro frottole, che conosce la storia e sa che l’accoglienza può solo far bene. A tutti. Raffaele MASTO – Buongiorno Africa – 18.07.17

      Gli negano il minuto di silenzio per Barcellona e il nuotatore non si tuffa    

29-10Fernando Alvarez aveva invitato il Comitato a ricordare le vittime della strage prima della gara. Richiesta negata per mancanza di tem- po: lui ha deciso di farlo autonomamente non tuffandosi in acqua allo start.

Negano il minuto di silenzio in ricordo delle vittime dell’attentato di Barcellona e lui per protesta non si tuffa in acqua alla partenza. Il protagonista di questa singolare iniziativa è stato il nuotatore spagnolo Fernando Alvarez, impegnato in questi giorni nei Mondiali Master di Budapest riservati agli atleti over 25 anni. Il comitato ha negato la commemorazione delle vittime e così Alvarez ha deciso di osservare autonomamente il minuto di silenzio, rimanendo fermo sui blocchi di partenza. «Mi hanno detto che non potevano farci nulla perché non si poteva perdere nemmeno un minuto, visto lo schedule già prefissato della giornata — ha spiegato il nuotatore spagnolo — Ma certe cose non valgono tutto l’oro del mondo».                                                                                                                                                                                    Il Corriere della sera – 20.08.17